"La strage di Ferragosto", anteprima

Un breve racconto estivo, ambientato in Liguria, per sensibilizzare turisti e residenti verso un utilizzo più civile delle nostre spiagge.


LA STRAGE DI FERRAGOSTO

— Tu quanti ne hai fatti fuori? — chiese Alì, undici anni e mezzo, promosso in seconda media con una sfilza di 7.
— Ne ho ammazzati venti solo stamattina, — rispose Kevin, dodici anni, media del 6.
— Dai Kevin, conti un sacco di musse. Non ci credo!
— Ah, non ci credi Alì? Allora guarda qui. Toh, cosa c'è scritto qui? Sai leggere? — fece Kevin piantandogli il cellulare a due centimetri dal naso.
— Belin, venti! — fece Alì arretrando un po' il capo per mettere meglio a fuoco il display.
— Bravo Alì, vedo che sai leggere bene i numeri, adesso vedi un po' se ti riesce di leggere anche le lettere! 
Fece un paio di tap sullo schermo del telefonino e apparve una lunga lista di icone che rappresentavano i mostri catturati ed eliminati. Accanto a ogni disegnino compariva un nome.
Alì cominciò a snocciolare quegli strani nomi ad alta voce e ogni volta emetteva un UAO di ammirazione e sorpresa verso le imprese dell’amico. 
A un certo punto cacciò un urlo:

— NOOO! Non ci posso credere! Hai fatto fuori pure Ciapeleta! Dove l'hai beccato?
Ciapeleta era l'essere mostruoso più difficile da far fuori, quasi una leggenda. In realtà aveva un nome pieno di x e di k, ma loro lo avevano soprannominato Ciapeleta per via della forma vagamente simile a una caramella e forse soprattutto per esorcizzarne il potere orrorifico.
— Credici, credici, me lo sono ritrovato davanti mentre svoltavo in via Roma. Si nascondeva dietro una fioriera, ma io... zhang!, l'ho disintegrato in un attimo.
— Belin! Kevin, sei davvero un belin di mostro!
— Già, lo puoi dire forte.
Erano seduti su una panchina all’ombra di un’enorme tamerice dalla chioma intrisa di salmastro. Il mare sembrava una bandiera tricolore a strisce orizzontali, blu cobalto, azzurro cielo e verde smeraldo. Il sole era quasi allo zenit e l’aria calda del meriggio profumava di rosmarino selvatico.
Una lieve brezza portò una persistente zaffata di patatine fritte.
— Che fame! — disse Alì.
— A chi lo dici, senti che profumino…
— Mmhh, patatine fritte… Le riempirei di maionese…
— E di ketchup.
— No, il ketchup non mi piace.
— A me sì.
— Allora tieniti tutto il ketchup, Kevin, basta che mi lasci abbastanza maionese da inzozzarcele dentro per benino.
— Inzozzarcele? Ma che razza di lingua parli, Alì? Te ne esci sempre con delle parole strane... mussa, ciapeleta, boiaren, galuscio, … 
— He he, guarda che questo è ligure.
— Ma è roba vecchia...
— A me piace! E poi dove abito io parlano quasi tutti in dialetto. 
— Ma tu stai in paese, Alì! Qui in città il dialetto non lo parla più nessuno ormai... Forse solo i vecchi.
— Comunque a me piace, ti ho detto; e poi quando sono arrivato in Italia ho conosciuto prima il dialetto e poi ho imparato l’italiano.
— Imparato? Ma se a scuola prendi sempre dei gran cinque di tema!
— Che c'entra, la prof dice che faccio dei bei temi ma devo migliorare l'ortografia; è solo quella che mi frega.
— Sì, vabbe’.
— Sta’ a sentire, Kevin, perché invece non parliamo un po' dei tuoi bei quattro in matematica e in francese, oppure…
— Alì, non è per cambiare discorso, ma secondo te oggi a che ora mangiamo?
— Se Caterina è puntuale direi che in un’oretta ce la potremmo cavare. Io ho detto a mia madre che sarò a casa alle due in punto. Oggi mi aspetta un cous cous eccezionale. 
— Io invece, appena avremo finito, devo raggiungere i miei alla spiaggia della Sirena. Mi aspettano per mangiare.
— Allora speriamo che Cate arrivi presto…
Caterina. Detta Cate. 11 anni e mezzo. Promossa con la media del 9. Bersaglio 10 mancato per via di quel maledetto 7 in condotta. Caschetto biondo, spruzzatina di lentiggini sotto gli occhi verdi, indossava una camicetta annodata in vita sopra un paio di jeans azzurri che aveva tagliato con le forbici da cucina due centimetri sotto l’inguine.
— Eccola! — indicò Alì.

— Raga, scusate, mia madre mi ha fatto il terzo grado quando le ho detto che non pranzavo a casa. Ci si è messo anche mio padre e figuratevi che mia nonna…
— Taglia, Cate! piuttosto: hai portato le armi? — la interruppe Kevin con preoccupazione.
— Ceeerto! — rispose la ragazzina trascinando la “e” più del dovuto, visibilmente irritata per l’interruzione dell’amico.
— E le munizioni? — la incalzò Alì sgranando gli occhi.
— Ma certo, cosa credi? — disse Caterina incrociando le braccia. Osavano forse mettere in dubbio la sua capacità organizzativa? Agitò il pollice sopra la spalla: — Ho tutto qui nello zainetto.
Se lo sfilò e lo depose con cautela sulla panchina. Si guardò intorno con fare circospetto e i due amici le si strinsero intorno per proteggere l'operazione da sguardi indiscreti. Caterina slacciò l'apertura dello zainetto e ne allargò i lembi. 
— Ecco le armi — disse a bassa voce.
I due ragazzi allungarono il collo per guardare meglio. 
Le loro teste si toccavano.
— UAO, — bisbigliò Kevin, — oggi faremo davvero una strage. La grande strage...
— … di ferragosto! — terminò Alì.
La stavano preparando da almeno un paio di mesi. La prima volta che uno di essi aveva pronunciato quella parola era stato un giorno, a scuola, durante l'intervallo di metà mattina.
Era stato Kevin a dirlo, con la bocca piena di un enorme tocco di focaccia: “Faffavouvaffafe”! Caterina e Alì lo avevano guardato senza capire, fino a che lui, dopo aver inghiottito il boccone grazie a un  provvidenziale sorso d’acqua proveniente dalla bottiglietta di minerale strappata dalle mani di Alì, non aveva scandito:
— Fa-ccia-mou-na-STRA-GE!
I tre compagni di classe si erano trovati subito d'accordo e nei giorni successivi... [continua...]

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